FIGURE DA RICORDARE

 

E' difficile entrare nei meandri della storia a cercare persone da menzionare senza incorrere a qualche spiacevole inconveniente specie se il concetto è che tutti gli uomini sono uguali,oppure, non è grande colui che fa cose straordinarie ma chi fa straordinariamente bene le cose ordinarie.

Vorrei chiedere scusa, quindi, per coloro che mi fossero sfuggiti, facendo presente che il mio non vuole essere compito di mettere in mostra personaggi illustri della storia di Paularo, ma simboli talchè ognuno possa vedere nei personaggi se stesso, per migliorare a bene comune ed a onere del paese.

I CALICE o CALISE

Famiglia potentissima della Carnia con sede ad Incarojo. Sono menzionati dal tempo della Repubblica Veneta ed è probabile, come gli specialisti di genealogia spiegano, siano giunti da Venezia per tutelare o beni boschivi della Serenissima in Carnia. Dediti al Commercio boschivo, alle cose di guerra e di chiesa, agli intrighi politici, furono ricchi di censo, ambizioni di rango culturale, non disdegnosi d'allori militari, ottimi amministratori dei loro averi.

I Palazzi più belli che Paularo può vantare furono i loro ed il loro nome appare in primo luogo nella storia del paese.

Nel 1674, TOMMASO CALICE riceve per meriti politici o militari dall'imperatore LEOPOLDO il titolo di Barone per sè e la sua famiglia , non è sicuro, ma nemmeno improbabile che il barone CALICE, ambasciatore d'Austria a Costantinopoli, sia di questa famiglia. Sempre nel medesimo anno, TOMMASO CALICE amplierà la chiesa di S. Antonio.

Nel 1688, GIACOMO CALICE, fu parroco di Paularo e gli successe nel medesimo ufficio, PIETRO CALICE, sacerdote e dottore in diritto canonico, con lui si ebbe il primo curato permanente a DIERICO, mori giovane per malferma salute.

Altri personaggi dei CALICE furono famosi per avere rivestito incarichi fuori Paularo, ma non è certo se fossero nati in d'Incarojo.

Con la fine della repubblica veneta e gli ordinamenti franco-austriaci, la potenza dei CALICE sembra in parte attaccata dai FABIANI e GEROMETTA, ma solo con a morte dell'ultimo rampollo, LUIGI CALICE, privo di prole, nel 1910 cesserà la dinastia per entrare a fare parte in quella dei VALESIO-CALICE, tramite il passaggio di ogni eredità al nipote GIOBATTA VALESIO, che la moglie del LUIGI CALICE, MARIA DELLA SCHIAVA, aveva cresciuto dall'infanzia.

GIOBATTA VALESIO CALICE nella sua esistenza si mostrò degno della famiglia in cui fu cresciuto e della scelta affidatagli di continuare la nobiltà, infatti, oltre ad essere uomo di cultura, fu valoroso in tempo militare. A lui durante la guerra del 1915-1918 si deve il salvataggio di una compagnia di alpini travolta da una valanga a Sella Nevea, e l'eroico recupero del corpo del maggiore di finanza GIOVANNI MACCHI, precipitato durante un'azione di combattimento sul Pal Piccolo.

 

CANCIANI GIOVANNI "Neto" (1883-1961)

Nato a Paularo da umile gente che abbisognava anche del suo aiuto, a dieci anni, con altri del paese, andò garzone in Austria dove ritornerà anche gli anni seguenti. Le aspre fatiche non deprimono il suo esile fisico né gli tolgono l'avere rifugio e conforto in un suo intimo mondo che gli dà aria di giovane trasognato. Nei momenti di libertà ed in giorni di festa, anziché stare alle ciarle ed agli svaghi dei compagni, preferisce tenersi in disparte, cavare di tasca carta e matita e disegnare cose e figure che custodisce gelosamente nascoste. Il comportamento eccita i curiosi a spiarlo, finché scoprono i suoi abbozzi, linee di paesaggi, profili di persone, atteggiamenti di operai al lavoro. Timido ed esitante per natura, è reso guardingo dalle proprie battaglie interne e si dibatte per vincere gli incagli d'una vocazione artistica che lo affascina ma che non può coltivare. Quando finalmente avrà la possibilità di frequentare la bottega d'intaglio di GIACOMO SBRIZZAI "Crociul" s'aprirà per lui una lieta aurora. Da quel giorno alternerà il lavoro di muratore con interminabili ore d'intaglio, che mostreranno mobili nitidi per pulitezza di colpo e perfezione di disegno, o quadri, la cui pittura parla di ritratti a tutto vero.

Muore a Paularo il 1° luglio del 1961, lasciando opere preziose nell'abitazione del nipote maestro GIOVANNI CANCIANI, nello studio del sindaco di Paularo, presso la Banca Carnica di Tolmezzo, negli Stati Uniti d'America ed in altre località.

 

CELLA ANTONINO (1845-1907)

Capomastro d'Incarojo che si fece apprezzare per bravura operosità ed onestà.

 

CLAMA LAZZARO (1825-1844)

Figlio di DANIELE, chierico studente presso il seminario di Udine, muore non ancora ventenne lasciando memoria di cristiane virtù, per cui nel 1861 si scriveva di lui, "Questo caro fanciullo dalle labbra parlanti spirava la fragranza delle virtù,dalla cera ridente il candore dell'anima, dagl'occhi sereni, la pace del cuore, dagl'atti e dalle movenze la modestia, il rispetto e l'umiltà".

 

I FABIANI e i GEROMETTA

"FABIANI" si dice sia cognome d'origine toscana, mentre "GEROMETTA" non si conosce né si azzarda una precisa provenienza.

Non si hanno dati precisi, né è mai stato concesso appurare di come siano giunti a Paularo, né come siano arrivati a potente signorilità. Dal sec. XVIII al XIX si contendono il rango, la signoria e l'amministrazione di Paularo, contro una famiglia CALICE in calando e che sembra stia a guardare, anzi, cederanno sembra per matrimonio ai GEROMETTA, il loro palazzo di Paularo, mentre ai FABIANI, pare giunga per eredità il palazzo LINUSSIO. A tale proposito, la tradizione vuole che un FABIANI invaghito d'una GEROMETTA, o viceversa, trovasse ostacolo al matrimonio perché non in possesso d'un palazzo imponente come quello dei GEROMETTA e, per dimostrare quanto egli fosse ricco, comperò il palazzo LINUSSIO.

Dai beni catastali risulta che sia i FABIANI che i GEROMETTA fossero proprietari di numerosi pascoli e boschi, beni che poi furono dispersi o venduti nel susseguirsi delle eredità. Ma se nella varie divisioni i FABIANI mantennero il cognome, per i GEROMETTA la mancanza di figli maschi fece si che i beni si trasformassero, a causa dei vari matrimoni, in possesso degli SCREM, TARUSSIO, ecc.

Sono comunque, sempre loro, che si contendono anche attualmente l'aristocrazia, il rango culturale e l'amministrazione di Paularo.

 

FERIGO ANTONIO "Belo" (1872-1963)

Partiro giovanissimo per fare il garzone in uno dei tanti cantieri drll'Austria Imperiale, trova nella schiera dei pittori gemonesi che ivi operavano i suoi maestri e ne apprende l'arte del dipingere.

Messosi poi in proprio ebbe larga schiera di clienti, tra i quali lo Stato Imperiale che gli commissionò un'arco di trionfo, premiato, come da documentazioni raccolte nella sua casa, dallo stesso imperatore FRANCESCO GIUSEPPE.

Dopo un periodo imprecisato trascorso in Austria passa in Jugoslavia per tenere bottega con dipendenti ed allievi. Trascorre i mesi della buona stagione sulle impalcature a dipingere chiese, l'inverno lo passa nella borrega di Sarajevo a studiare progetti, dipingere ritratti, fare quadri o pale di altari.

La tragedia del 28 giugno 1914 nella città di Sarajevo, segna per il FERIGO la fine di ogni progetto futuro. Vigilato perché italiano, con la successiva dichiarazione di guerra dell'Italia contro l'Austria, a stento riesce a fare ritorno in patria, dopo avere abbandonato una discreta fortuna.

A guerra finita ha per allievo il MOROCUTTI, poi insegnante all'Accademia di Venezia, e viene chiamato a dipingere chiese, salotti a Paularo, in Carnia e a Roma.

La pittura del FERIGO ha la caratteristica di figurazioni rese in deliziosi interni o limpidi paesaggi in una tecnica che mostra linguaggio chiaro, naturale, vivo e piacevole.

Noto anche come intagliatore del legno. Il FERIGO muore nella sua casa di borgo CJAVEC a Paularo alla veneranda età di 91 anni, nel 1963, stimato da tutta la cittadinanza.

Tra le sue opere, non certo le migliori, dipinti nella chiesa parrocchiale di S. Vito a Paularo, nella chiesa di Chiaulis e quadri in collezioni private.

 

INCAROJO ANTONIO (1453 - ?)

Figlio di ENRICO da CASASO d'INCAROJO, pittore ed intagliatore, ricordato dal Marchetti tra gli uomini illustri del Friuli.

 

LAZZARA GIOBATTA "Palucian" (1875-1969)

Proveniente da Paluzza, come dice il nomignolo, si stabili a Salino sulle sponde del Rio Bedenet per mettere appunto la sua officina meccanica fatta funzionare con le acque di quel ruscello.

Facendo tutto da solo sistemò il terreno, innalzò una baracca, compose macchinari ed ogni altro accessorio per potere lavorare il ferro.

Lavoratore perfetto ed ingegnoso, il LAZZARA fu per molti anni un vero maestro nell'arte di lavorare il ferro. Dalla sua officina uscirono splendidi alari, ringhiere e utensili per boscaioli, muratori, e contadini, e mai alcuno lo superò nel sapere dare la tempera al ferro.

Grande lavoratore, fu più un buon artigiano che uomo d'affari, esperto più nella tecnica di malleare il ferro che chiedere il suo dovuto compenso. Per quanto lavorasse la sua bottega non ebbe mai migioramenti se non quelli da egli portati, e oggi decrepita, fa mostra di sé a vanto di un uomo che la seppe creare dal nulla.

Per la sua attività fu premiato dalla Camera Provinciale di Lavoro, unico premio per un uomo che molto aveva dato agli altri. Mori il 2 Febbraio del 1969 modestamente come sempre aveva vissuto.

 

JACOPO LINUSSIO (1691-1747)

Nacque a Villamezzo di Paularo, l'8 Novembre 1691 dalla modesta famiglia di PIETRO e MARIA DEL NEGRO. Avuta qualche istruzione elementare in paese, giovanissimo, come tanti altri ragazzi, è mandato garzone a Villacco (VILLACH - Austria) , dove alcuni operai carnici lavoravano nella produzione dei tessuti, ai fini di qualche guadagno a sostentamento della famiglia. Appresi i semplici sistemi della lavorazzione della lana e del lino, con la parsimonia della sua gente, in una quindicina d'anni di lavoro, mise da parte un pò di denaro, che gli dovrà poi servire da seme nell'ardito progetto di trapiantare in Friuli quella fonte di lavoro e benessere che i suoi conterranei dovevano cercare all'estero.

Il LINUSSIO non aveva ancora ventisei anni compiuti quando con sudati risparmi costrui a Moggio un piccolo opificio per la tessitura del lino. L'Opera ebbe in breve rapidi sviluppi e la fabbrica divenne insufficiente. Conservando la fabbrica di Moggio, il LINUSSIO ne creò un'altra a Tolmezzo, nella casa che sarà poi dei MARCHI. Anche questa fabbrica risulterà inferiore al continuato sviluppo, per cui il LINUSSIO cercherà di trasferire gli impianti nei locali di certo DEL FABBRO, ma non essendo riuscito ad ottenere la cessione, acquista un vasto fondo prativo alla periferia del paese, dove vi costruirà dalle fondamenta la grande fabbrica. Era questa una grande costruzione che richiese cinque anni di lavoro ed infinite difficoltà ed ostilità per il LINUSSIO. Pare inoltre che non avendo denari sufficienti abbia dovuto contrarre un prestito con una confraternita udinese, chi dice di quattromila chi di ottomila ducati.

Il Governo veneziano che stava addottando una politica spietata di protezione delle proprie industrie cittadine, stroncando prontamente ogni tentativo d'impianto che potesse danneggiare i suoi artieri, si occupò del LINUSSIO fino dagli inizi della sua attività a Moggio, ma avuto egli formale licenza di fabbricare panni e facilitazioni doganali, dimostrò che la sua produzione era limitata a tessuti che si dovevano importare in Slesia e che quindi non pregiudicava il commercio veneziano, ma anzi, faceva risparmiare denaro che sarebbe andato fuori dello Stato. In seguito facendo presente i grossi benefici che la sua iniziativa arrecava alla popolazione costretta ad emigrare in paesi stranieri alla ricerca di lavoro. Il LINUSSIO ottenne di potere fabbricare largamente tessuti di basso costo per la povera gente, industria trascurata dalle fabbriche veneziane, ma che egli poteva sostenere facendo tessere a domicilio il filato, su primitivi telai esistenti nelle case ad uso domestico. Con questi accorgimenti e con l'appoggio presso i Savi della Mercanzia, il LINUSSIO poté avviare su larghe basi la sua produzione.

La fabbrica di Tolmezzo era imponente e curata archittettonicamente al punto da lasciare stupiti i forestieri che si recavano per trattare i loro affari. La costruzione centrale, tuttora visibile trasformata in caserma, fu costruita dall'architetto DOMENICO SCHIAVI, vi si ammirano logge e gallerie decorate a bassorilievo e contornate da stucchi, affreschi con figure mitologiche e storiche. Accanto al palazzo sorge la graziosa cappella dell'Annunziata, mentre intorno agli attuali edifici, in portici laterali, vi erano gli annessi opifici ed i canali delle acque per la forza motrice.

Questa di Tolmezzo che contava più di millecento telai ed era il più grande dei cinquanta centri di filatura che il LINUSSIO aveva in Friuli per la sola filatura non era tutto, possedeva inoltre a Casabianca, presso S.Vito al Tagliamento, una tenuta di duecento ettari per la coltivazione del lino, a Moggio l'opificio ove cento uomini e cento donne purgavano e biancheggiavano il filato ed il lino greggio importato dalla Slesia, dalla Livonia e dalla Pomerania. Nel 1726 oltre tremila famiglie lavoravano per suo conto ed egli si diceva di volere dare da fare a tutti i centosettanta villaggi della Carnia. La produzione annuale raggiungeva le quarantamila pezze, pari ad un milione e trecentomila braccia di tela, senza contare i panni di canapa e le vele per le navi, stabilendo in Carnia, come dice lo ZANON "la più grande manifattura di teli che sia in Europa, tanto riguardo all'ampiezza e magnificenza della fabbrica, come alla qualità del prodotto". Per lo smercio aveva magazzini a Napoli, Cadice, Costantinopoli, ecc.., per un'importo annuale di oltre centomila ducati esteri.

Questo "self made man " incarnava le migliori qualità della gente carnica, sobrietà di vita, attaccamento alla famiglia, coraggio senza avventatezza nelle iniziative , tenace nelle difficoltà, ingegno sottile, costante volontà nel migliorare. Era di Bella statura, dì aspetto dignitoso, di viva inteligenza anche se di limitata cultura, parlava bene ed in modo persuasivo, vestiva accuratamente senza affettazione. Generoso coi poveri, affabile con gli amici, cortese con tutti. Lasciò legati a tutte le chiese della Carnia, soccorsi ai suoi domestici ed ai poveri di Tolmezzo. Mori all'età di 55 anni per un'affezione alla gola, il 17 giugno del 1747, lasciando un figlio giovanissimo che volle affidato a valente religioso e quattro figlie che esortò a sposarsi con persone oneste.

Fu sepolto nella chiesa Arcivescovile di Tolmezzo abbellita dalla sua munificenza.

 

MALATESTA CATERINA (1906-1977)

Figlia di povera gente, cominciò a dare il suo contributo alla comunità rimanendo ferita nei primi anni d'infanzia a causa della Prima guerra mondiale. Come molte giovani del paese dovette emigrare nella triste sorte di un servizio domestico, ma dotata dell'intelligenza vivissima, al contatto dei signori, seppe impadronirsi dei modi di un vivere civile. Le quattro giornate di Napoli, nella seconda guerra mondiale, la vedono tra i protagonisti, dopo le quali, con la liberazione da parte alleata della penisola italica, rientra a Paularo.

Intreccia relazioni sociali con gli uomini più illustri delle politica friulana. Si fà promotrice per l'introduzione a Paularo del patronato ACLI, tramite il quale, numerosi saranno gli interventi a finalità di bene pubblico e privato, corsi di formazione professionale, pensioni, ecc. E' la prima donna che si conosca nella storia di Paularo ad avere fatto parte come membro di consigli comunali e giunte municipali, nelle riunioni dei quali imparzialmente faceva valere i diritti della popolazione per il bene comune. Vedeva nei boschi la principale fonte della ricchezza comune, e pure anziana e malferma in salute, diede esempio di vita sacrificata pensando al ripopolamento ed alla cura delle piante.

Mori in silenzio, senza mai nulla chiedere alla comunità per quanto aveva dato nella sua esistenza.

 

NASCIMBENI BERNARDINO (1872-1951)

Figlio di FERDINANDO NASCIMBENI, nacque a Paularo il 21 Marzo del 1872. Dal padre prese quanto di meglio poteva, sia a fini intellettuali che filantropici, non solo imitandolo ma superandolo. Formatosi nell'arte culturale di conoscere un pò tutto, la sua vita fu una continua ricerca ed attuazione del progresso avanzante.

Dopo un periodo a Paluzza in qualità d'ufficiale postale, con questo impiego sostituisce il padre a Paularo.

Nel tempo lasciatogli libero dal lavoro è affascinato dalla fotografia e suo è il primo studio fotografico del paese.

Nell'anno 1911, tutto solo erige per Paularo il primo impianto di elettricità facendo gridare al miracolo una popolazione abituata alla luce di lumi a candela. Non ancora spenta l'eco del miracolo elettrico, attira attorno a sé una popolazione incredula di quanto vede nel cinematografo, di cui dà un primo saggio in una sala del palazzo FABIANI. Di miracolo in miracolo passa alla prima radio, ed ancora la gente stupita, si domanda quale mago sia "Sior Bernardin". Buon Musicista e poeta, mette in note ed in rime le bellezze di Paularo e della Carnia in uno stile classicheggiante.

La sua famiglia è la popolazione, conversa affabilmente con grandi e piccini, s'adopera nelle necessità dei più bisognosi , diventa promotore del primo servizio di autocorriere da e per Tolmezzo.

Il più grande pioniere e fautore del progresso in Paularo e con gli umili, sapiente coi saggi, non si dà mai alcuna forma di super-uomo, cercando sempre di rimanere confuso tra la folla.

Mori a Paularo l'11 Gennaio 1951, con espresso desiderio d'essere sepolto in terra comune e chiedendo che a riconoscimento del cimitero fosse illuminato in perpetuo. Giustamente l'amministrazione comunale di Paularo volle dedicare a suo nome la piazza in cui abitava e che attualmente è la principale del paese.

 

FERDINANDO NASCIMBENI (sec. XIX)

Nacque a Paularo da modesta famiglia nell'attuale casa denominata dai "Checos", in via Pontebba. Dotato dello spirito dell'apprendere e d'intelligenza viva deve avere probabilmente ricevuto i primi rudimenti del sapere da qualche sacerdote, come era uso allora. Imparato a leggere ed a scrivere, si forma culturalmente da solo, fino a raggiungere il grado di cancelliere presso la pretura di Tolmezzo. Lasciato quel posto, diviene primo ufficiale postale a Paularo. Amante della musica, insegna quest'arte ai giovani del paese e con essi si fa fondatore della prima banda musicale di Paularo, che si chiamava "Banda Nuova" , nome mutato attualmente in Filarmonica Ferdinando Nascimbeni in omaggio al fondatore.

A FERDINANDO NASCIMBENI va però riconosciuto nella storia di Paularo un posto come capostipite della rivoluzione sociale, in quanto il suo operato non solo fu di seminatore di progresso ma segnò la via che doveva contribuire ad accorciare le distanze di visuale tra signore e povero, tra operaio e padrone, in un concetto che tutti gli uomini sono uguali. Dottrina portata avanti poi dal figlio BERNARDINO con dimostrazione pratica di vita. Semplice, modesto e lavoratore infaticabile, mori a Paularo nel 1921 lasciando di sè memoria imperitura.

 

PELLIZZOTTI FRANCESCO (1740-1818)

Nato ad Incarojo nell'anno 1740 e quivi morto nell'anno 1818,. Il PELLIZZOTTI che è da ritenersi il massimo rappresentante locale della pittura del settecento, ci lascia nelle sue opere documenti passati attraverso le varie fasi del secolo.

Attratto dall'influenza esercitata dai grandi geni della pittura veneto-friulana, divisi fra tiepoleschi e piazzeteschi in progressivo avvicinarsi dell'Ottocento, il PELLIZZOTTI non sa sottrarsi e riproduce le opere del Fontebasso, Novelli, Grassi ed altri in modo cosi perfetto che non pochi critici le attribuiscono ai maestri.

Privo di scuola, rivela la natura cromatica del pittore che in diverse tappe ed evoluzioni crea una vastissima gamma di opere diffuse in tutta la Carnia e che mostrano una pittura dal pennelleggiare rapido e succoso, fresco e spedito, sicuro in forti e sapienti giochi di luce con piacevole sincronia cromatica. Nelle sue opere, che si possono vedere presso la chiesa parrocchiale di Paularo, nel museo di Tolmezzo o nella chiesa di Trelli, il PELLIZZOTTI mostra composizioni in cui si notano evidenti le figure eleganti ed agili del Novelli, oppure il colore fluido, immerso in luce morbida e vibrante del Grassi.

 

SARTORI ANTONIO (1774-1847)

A ricordo di questo grande ed illustre uomo d'Incarojo, lasciamo ai lettori l'apprezzamento, riportando l'epigrafe funeraria.

"ANTONIO SARTORI, Notaio nato a Dierico il settembre 1774, regnando il veneto, il franco, l'austriaco, fu a vicenda Capitano, Sindaco, Deputato della sua val d'Incarojo, savezze, prudente, compose dissidi, avversò a' litigi, pio, prodigò il suo a poveri, immaculato e benedetto, sali al cielo il 16 aprile 1847. Convalligiani, onoriamo l'uomo virtuoso, tantando d'imitarlo".

 

SBRIZZAI CARLO "Sandron" (1841-1888)

Gli vengono attribuiti diversi lavori locali come pittore ed intagliatore, quali, affreschi visibili su stavoli o case oppure tele in collezioni private. Andava noto per la sua fluente barba e per il Cristo posto sulla sua casa in Borgo S. Antonio, vicino alla casa canonica.

 

SBRIZZAI GIACOMO "Crociul" (1861-1941)

E' il primo importante rappresentante dell'arte dell'intaglio vissuto a Paularo. Dove abbia appreso quest'arte non si sà, c'è chi afferma in qualche bottega artigianale di Venezia, dove s'era recato in gioventù, quello che è sicuro è che tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento fu uno degli artisti più prolifici e fantasiosi di quest'arte vissuti a Paularo.

Quasi di contro ad una natura che lo aveva voluto di statura bassa, riproduce opere grandiose di mobili in legno, dove le figure e i colpi di sgorbia sono come il suo carattere mutevole, scontroso o faceto. Grifi, draghi, maschere, foglie d'acanto fissano o fanno da contorno a pannelli con scene agresti o paesaggistiche. Decorazioni eseguite con facilità ornano cassepanche, sale da pranzo, camere da letto, studi, ecc. in una produzione diffusa in varie parti d'Italia ed ispecie a Roma dov'era rappresentato da Giacomo Soravito de Franceschi suo commissore.

Mori nella sua casa di Villamezzo nell'anno 1941, lasciando in eredità la sua arte e numerosi giovani che avevano frequentato la sua bottega e mobili che si possono ammirare presso l'albergo Cavallino o in varie abitazioni.

 

SBRIZZAI GIOVANNI (1821-1891)

Resse per tre lustri l'azienda del Comune con plauso generale.

 

SBRIZZAI LEONARDO "Muini" (sec. XIX)

Sacrestano del paese che occupava il tempo libero nell'arte dell'intaglio. Suoi i confessionali della chiesa parrocchiale di S.Vito a Paularo.

 

SCHIAVO NICOLO' (1453- ? )

Pittore ed intagliatore, conosciuto anche come Jncarojo o Nicolò da Venzone, dove aveva casa e beni. E' ricordato tra gli artisti minori dell'arte rinascimentale.

 

SEGALLA GIOBATTA "Crodi" (1878-1963)

L'Emigrazione stagionale oltralpe è stata per secoli storia di Paularo. Ogni primavera il paese si svuotava di uomini validi in un esodo che vedeva partire anche i ragazzini per luoghi in cui avrebbero potuto guadagnare quel tanto da vivere. Erano operai e garzoni, lavoratori industriosi, tenaci e di ottimo rendimento, disciplinati e fedeli anche nel più rude lavoro. In tutti la volontà di progredire e passare dalle fatiche del manovale ai lavori qualificati. Molti dalla condizione pià modesta salirono al grado di caposquadra e di conduttori di opere , spesso rivelandosi capaci di reggere imprese. Uomini che finivano per imporsi, non perchè muniti di denaro o cultura, ma unicamente per senso pratico e spirito d'iniziativa che li rendeva dovunque ricercati e benvisti.

Uno di questi fu GIOBATTA SEGALLA, simbolo ed insegna di un popolo che ha conseguito vittorie nel superare il più aspro noviziato. Vorremmo fare tanti nomi, facciamo quello del SEGALLA perchè di lui molte opere ci parlano in Paularo, alcune delle quali, il Monumento ai Caduti, la Cappella e la Grotta di Lourdes, la chiesa di Ravinis, ecc. Opere eseguite in tempi di miseria, con la sola forza della mente e delle braccia, perciò vanto, simbolo ed esempio ai posteri di perizia e laboriosità

 

SCALA ANTONIO (1871-1954)

E' una figura di primo piano nella storia di Paularo per l'apporto assistenziale dato alla popolazione durante la seconda guerra mondiale, quando la tristezza era fatta di fame, deportazione, sospetti ed insicurezza, che lo videro in prima linea nell'osare superare intransigenze contro una popolazione posta in balia del nemico. Minacciato e percosso, in sofferenze, dispiacieri, lutti, penose situazioni, con autentica carità cristiana, il Signor SCALA vi arrivava, non perchè commissario prefettizio, ma per amore verso il popolo.

Buon conoscitore della lingua tedesca, il 24 giugno 1944, intervenne prontamente contro le SS perchè liberassero immediatamente il medico condotto Dottor G. IOLI, condannato alla pena capitale. L'Indomani, tra notevoli difficoltà ed in bicicletta a 73 anni, raggiunse il comando generale tedesco a Udine, per reclamare l'immediata liberazione di 33 ostaggi di Paularo, offrendo la sua vita in cambio ed il mancato accoglimento il suo suicidio per protesta.

L'11 ottobre 1944, giorno del rastrellamento, fece valere tutta la sua personalità e molti gli sono debitori se non sono stati deportati nei laghers.

Figlio di povera gente che aveva fatto fortuna come arrotini a Graz, nel 1915 ricevette proposta alla nomina di console per quella città, che egli rifiutò rientrando in Italia per la guerra del 1915-1918 e per aprirvi a Paularo un magazzino per la spedizione delle coltellerie ed una piccola fabbrica delle medesime che esportava in tutta Italia.

Figura d'alta personalità, fu presidente di varie associazioni, ammiratore delle bellezze artistiche e delle tradizioni, rispettoso verso il progresso lavorativo, amante dello sport che estese come servizio sociale.

Nominato Cavaliere della repubblica per dedizione civica, moriva all'età di 83 anni, il 4 maggio 1954, lasciando rimpianto ed ottimo ricordo.

 

SELENATI NICOLO' (1777-1855)

Nacque a Sutrio e fu venerato parroco di Paularo per 48 anni. E' ricordato come felice narratore di aneddoti, profondo nelle dottrine ecclesiastiche, incomparabile sacerdote, per cui il suo superiore, l'arcivescovo di Udine Zaccaria Bricito, ebbe a dire "Desta Venerazione".

 

SOLERO PIETRO (1661 - ? )

E' l'uomo politico più importante di Paularo in quanto è ricordato nella storia d'Europa come governatore della Transilvania. Era l'anno 1699 ed i Turchi con la pace di Cartowiz dovettero cedere all'Austria anche la Transilvania (Romania), territorio dei Balcani che i Turchi avevano conquistato con Solimano il Magnifico e che ora perdevano con la sconfitta di Zenta per opera Austriaca guidata dal principe Eugenio di Savoia.

Pure dicendo la storia che l'Austria aveva affidato il governo della Transilvania a sue persone di fiducia, non è dato a conoscere come il SOLERO fosse giunto a quell'alto incarico di governo.

Seguendo un'ipotesi che sembra la più logica, guardiamo la storia.

La vittoria dell'Austria per quelle terre è stata propiziata da italiani ed i rapporti tra italiani e rumeni sono sempre stati buoni, anzi, ottimi con i friulani, che chiamano fratelli. Non pochi infatti sono i friulani illustri in Romania o le opere da essi fatte. Tanto per citare qualcosa e qualcuno sono: la Ferrovia CRAIOVA BRASOV-BUCAREST eseguita da certo BOSERIO di FORGARIA, Craiova si presenta con la Cattedrale, uffici o palazzi di Stampo e opera Friulana.

A BUCAREST, in strada BRUTARU cè l'Osteria dei Furlans, con decorati lo stemma di Udine e visioni di Gemona, Artegna, Osoppo, ecc. Il Gestore parla friulano e sa distinguere gli accenti dei vari paesi, specificando: "vò i ses un furlan de Ciargne" o "Un gosar di Glemone", mentre da parte sua si dichiara "Cavosar di Vencon". Ci sono poi uomini come Giambattista Pascolo da Venzone che fu braccio destro del generale Barutzi, Luigi Gerussi da Piano d'Arta fattore dello statista BRATANIAU e molti altri.

Ma tra tutti il più grande fu PIETRO SOLERO.

Fu un Uomo di guerra o di politica?

Non è dato a sapersi. Certo doveva essere un personaggio importante e di fiducia se l'Austria lo ha posto a governo di un suo stato in un momento difficile.

 

SOLLERO GIOBATTA "Scopo" (1877-1962)

Per alcuni sarà meraviglia trovare il nome di GIOBATTA SOLLERO tra i personaggi di Paularo da ricordare, è cosa giusta e doverosa però, rendere omaggio alla figura di un uomo che per la sua fede politica ha conosciuto 30 anni d'amaro esilio lontano dalla numerosa e bisognosa famiglia.

Facendo il procaccia a Tolmezzo, ha modo di frequentare un certo ambiente dove lega in amicizia con i DE MARCHI, GORTANI, Benito Mussolini (allora insegnante elementare nel capoluogo carnico) Ernesto Piemonte ed il colonello Zaniboni e da questi illustri personaggi della politica italiana attringere una convinta fede socialista.

Con l'evento di Benito Mussolini all'apice del governo fascista, il SOLLERO vide tradite le idee insegnategli dal maestro romagnolo a Tolmezzo, e per lui, quel capo di governo divenne un traditore contro i suoi concetti ed amore patrio, dovuto in otto anni di leva militare e di guerra sul Pal Piccolo.

Ricercato dalle squadre fasciste, riusci a trovare asilo in Francia, da dove rispondeva ai paesani che lo invitavano a fare ritorno a casa, di non potervi per uno scopo, da qui il nomignolo "SCOPO". Ma in questa risposta del SOLLERO ai compaesani ignari di un crudele destino, era la tristezza del vivere nascosto in terra straniera, lontano dal dare sostentamento alla numerosa famiglia, il cui peso gravava sulla moglie GIOVANNA SORAVITO de FRANCESCHI che su nulla poteva contare perchè moglie di un nemico ideologico.

Rientrato in Italia alla caduta del governo fascista, non fece valere le sue idee rafforzate dalle amicizie nel lungo esilio politico, ma visse in silenzio gli ultimi anni di vita, soddisfatto che il suo ideale politico era quello giusto e sul quale si era costruita la costituzione.

 

SORAVITO de FRANCESCHI GIACOMO (1883-1932)

Era nato a Mione di Ovaro da nobile e benestante famiglia che unitamente ai fratelli, lo aveva inviato agli studi. Seguendo il padre, agronomo, operante, oltre che nella valle di Gorto, anche a Paularo, ebbe modo di conoscere Clementina Fabiani, sposarla e stabilirsi a Paularo, dove apri uno dei più rinomati alberghi, in un discorso che cominciava a sapere di turismo.

Comprendendo il dramma della povera gente che lo circondava, s'iscrisse al socialismo che vedeva come cooperazione di frattellanza in dignità di elevazione delle classi più umili, e la gente di Paularo, vedendone la dirittura morale lo volle sindaco e tutore dei beni del paese per molti anni. Quando i momenti erano più difficili e lui socialista in contrasto con una galoppante politica fascista , risolveva nelle assemblee contrasti in soluzioni atte allo sviluppo del paese, che con il Soravito de Franceschi vide molte opere nuove. Grazie alla sua politica umanitaria, riusciva a incoraggiare il lavoro, a sollevare le condizioni di molte famiglie modeste, a fare capire il turismo, come fonte di benessere economico per i paesi di montagna, e con innumerevoli viaggi a Roma presso i vari Ministeri di Governo, ottenne, a fine d'incoraggiare l'arrivo di villeggianti, elargizioni per strade, scuole, acquedotti, servizi di pubblica sicurezza, ecc.

Diffuse l'arte dell'intaglio che come artigianato locale poteva essere fonte di guadagno ed è merito suo la bottega dello SBRIZZAI.

Stimato da molti per la sua personalità, mori il 24 maggio del 1932 lasciando ai posteri la strada per l'avanzamento di nuove energie.

 

TARUSSIO BARTOLOMEO (sec. XVII)

Noto capitano al servizio austriaco, ricordato unitamente a Giobatta Zozzolo tra gli uomini illustri della Carnia. Non si conosce altro.

 

VENIER MARIANNA "Tati" (1890-1976)

Mamma per antonomasia di Paularo, attributo pienamente meritato, per l'avere aiutato a nascere in 50 anni di lavoro non meno di 5000 Paularini.

Nata a Raveo il 1° Gennaio 1890, ancora giovinetta si trasferisce a Carrara per studi, poi a Cagliari e Bologna come ostetrica ed istruttrice d'infermiere presso gli ospedali di quelle città. Nel 1926 assume la condotta ostetrica di Paularo e dieci anni dopo si unisce in matrimonio con il cavalier Antonio Soravito de Franceschi.

I tempi duri della guerra la vedono affermare i principi della sua professione. Rischia la vita per accorrere a ricomporre un sorriso. Affronta le difficoltà d'inverni gelidi, s'inerpica svelta sulle chine e sui sentieri più scoscesi per giungere in tempo nell'ultima baita, nel casolare più sperduto dove un vagito la ripagherà dalla fatica.

In paese era chiamata "Tati" vezzeggiativo famigliare indice della simpatia cui era circondata.

Qualche anno prima di morire, a riconoscimento dei suoi meriti, il Comune di Paularo volle consegnarle una medaglia d'oro. Ella nel ringraziare disse " Ho fatto solo il mio dovere " e poi " non potete immaginare la soddisfazione che si prova vedendo nascere un bimbo ".

Piccola, sempre affabile con tutti, modesta, rappresentava con nobiltà il vero carattere e la personalità più genuina della donna Carnica.

Tra le più anziane ostetriche d'Italia, mori in silenzio, come nella sua medestia aveva desiderato vivere, all'età di 86 anni, il 1° aprile 1976.