I Suoi palazzi
La Mozartina (Paularo)
Si tratta di un museo privato nel quale è possibile ammirare
quanto di più prezioso il suo proprietario, Giovanni Canciani, è riuscito a
raccogliere durante gli anni. La collezione è costituita da numerosi strumenti
musicali antichi, in gran parte restaurati, tra cui un organo positivo portativo,
due fortepiani, due clavicembali, un prototipo di flauto armonico ad ancia,
violini, strumenti a plettro, a pizzico e pianoforti moderni. Ogni stanza della
settecentesca casa, già Scala, contiene, oltre agli strumenti musicali, oggetti
di vario tipo (quadri, libri, ecc.) che ripropongono l'incanto trasmesso dalla
loro storia e riempiono l'atmosfera del sapore del passato.
CORT di TARUSC (Villamezzo)
Nella frazione di Villamezzo è possibile ammirare da una
piazzetta due edifici di proprietà della famiglia TARUSSIO, presente sul
territorio paularese fin dal diciassettesimo secolo. Il primo edificio
rappresenta uno dei tipici esempi di casa carnica, con, al suo interno, alcune
opere lignee di Giacomo Sbrizzai detto "Crociul". A dirimpetto, si
erge l'altro edificio, accessibile attraverso un bellissimo portale d'ingresso
che chiude il muro di cinta, E' possibile visitare i due edifici grazie alla
gentile disponibilità degli attuali proprietari.
Palazzo CALICE-SCREM (Paularo)
Costruito nel XVI secolo, viene considerato il prototipo della
casa carnica. Si tratta di un imponente complesso architettonico articolato in
più edifici. Di notevole pregio gli ampi loggiati ad archi sorretti da eleganti
capitelli sagomati. Singolare il soffitto a cassonetto del primo piano dipinto
da Giuseppe Buzzi nel 1716. L'annessa casa fu acquistata dal Comune di Paularo
ed è ora sede della biblioteca comunale "Antonio Sartori". A questo
secondo edificio fu incorporata la cappella, ora sconsacrata, di Sant'Antonio.
Palazzo VALESIO-CALICE (Villafuori)
Situato su un'altura di Villafuori, il palazzo domina quasi
completamente il capoluogo. L'edificio, costruito in vari tempi, è composto da
due ali e disposto su un ampio cortile interno chiuso da un muro di cinta
merlato. Di notevole pregio è il portale che riporta l'emblema della famiglia.
La villa visitabile nei mesi di luglio ed agosto.
Palazzo FABIANI (Paularo)
Situato nel centro del paese, l'edificio risale indicativamente
alla metà del XVII secolo. La tradizione lo vuole fatto erigere da un certo
conte Mocenigo per una Silvia Calice della quale si era innamorato. Il padre
della ragazza pretendeva per la figlia un palazzo simile per bellezza al suo,
posto sull'altra riva del fiume Chiarsò. Mocenigo accettò la sfida ma ci
vollero 10 anni per arrivare alla copertura del tetto, e nel frattempo il conte
preferì alla giovane Calice un'altra donna. Il palazzo fu dimora della famiglia
di Jacopo Linussio ed ospitò numerosi personaggi illustri tra cui Giosuè
Carducci.
Palazzo MOROCUTTI (Trelli ) ( La casa dei
miei genitori )
Il palazzo, costruito nel 1631 come testimonia la data riportata
sul suo portale, fu da sempre chiamato "il convento", probabilmente a
causa della sua particolare struttura architettonica, cinta da un muro e
sorretta da numerosi archi. Si tratta di uno dei pochi edifici antichi rimasti
nella frazione di Trelli.
CJAVEC (Paularo)
Merita di essere ricordato anche uno dei più antichi borghi di
Paularo, "CJAVEC". Situato in vicinanza del Palazzo Fabiani, il borgo
presenta le tipiche caratteristiche dello stile carnico.
LE
DODICI CHIESE DELLA VALLE D’INCAROJO
Chiesa
parrocchiale di Paularo
Sul terrazzo prospicente il borgo di Paularo nell'omonima valle, al cospetto
solenne dei monti che la circondano, solitaria e signora, domina protettrice la
chiesa parrocchiale, dedicata ai santi Vito, Modesto e Crescenza. L'edificio
attuale si presenta in una struttura neoclassica, opera del protomastro
tolmezzino Domenico Schiavi, architetto del settecento che lasciò in Carnia un
suo stile e diversi edifici armoniosi e signorili.
Lo Schiavi operò nella chiesa parrocchiale di Paularo su altro edificio assai
in rovina ed il cui deperimento si deve certo agli eventi naturali, alluvioni e
terremoti che turbarono la Carnia alla fine del 1600-1700. Conservando il corpo
centrale della vecchia chiesa, nell'anno 1745, col contributo di due giornate
lavorative della popolazione ebbe inizio la costruzione del coro che prese posto
dov'era l'entrata della chiesa precedente, mentre al posto dell'abside primaria
fu posta l'entrata, sotto un pronao ionico disegnato dall'architetto udinese
G.B. Bassi.
Dell'edificio precedente si ha memoria sino dal sec. XIII, e si dice fosse
dipinto « Per mano d'eccellente pittore quale dicesi essere stato allievo del
Pordenone famoso, e questo chiamarsi Giulio Urbano da Tarcento ». Dei dipinti
del Giulio Urbano non vi è conservazione alcuna e così dicasi di quello che
secondo documenti d'archivio doveva essere il famoso altare ligneo dorato,
sostituito con l'attuale in marmo nel 1747, per donazione di
Jacopo Linussio. Non è da escludere che tale altare possa essere andato
perso e che il tabernacolo dorato che trovasi sull'altare del Cristo sia
una reminiscenza. All'interno il complesso si presenta ad un'unica navata ad
angoli arrotondati su cui poggia il soffitto convergente in linee
architettoniche verso l'affresco. Lesene decorano le pareti, dove in quattro
archi sono ricavati gli altari delle Anime purganti, di S. Valentino, opere
pittoriche del Pellizzotti; della Vergine del Rosario, che si vuole portata
dall'Ungheria e legata ad una serie di vicende a tinta rosa; del Cristo,
scultura assai bella, forse reminiscenza della chiesa precedente. Tra l'altare
della Madonna del Rosario e del Cristo, in una nicchia v'è posta una buona
scultura di scuola altoatesina raffigurante la Vergine Addolorata, dono dei
reduci.della guerra 1915-1918. Oltre il corpo centrale,
leggermente rialzata ed abilmente risolta l'abside, in cui trova posto l'altare
marmoreo principale con le statue dei santi protettori, la cantoria
e dipinti del Pellizzotti, Ferigo ed ignoto, che la
tradizione dice fosse
un parroco.
Nell'anno 1755, Osvaldo Antonio Franzoi da Dierico, emigrato a Lubiana,
commissionò al pittore tolmezzino Antonio Schiavi,
l'affresco centrale del soffitto, per un prezzo di 24 zecchini
e poi per altri
24 zecchini gli affreschi degli ovati che rappresentano la Natività,
l'Adorazione dei Magi, Melchisedech, il sacrifìcio di Abramo, andato distrutto
e sostituito con un facsimile per opera di Antonio Ferigo. I quattro evangelisti
e l'angelo sopra l'organo sono stati invece commissionati allo Schiavi dal
nobile Gasparo Calice di Paularo, per l'importo di 50 ori.
I dipinti dello Schiavi sono le opere più pregevoli della chiesa e
rappresentano la scuola veneziana del settecento (Tiepolo-Piazzetta),anche se
meno fastosa ed esuberante. Il colore è arioso e fresco, il tratteggio sicuro.
Le figure troneggiano spigliate e disinvolte sulle nubi, peccano però, nei
confronti dei grandi maestri veneti, di proporzioni spaziali. La Natività,
intima e pastorale, come certi dipinti del Bassano, è l'opera migliore;
apprezzabili, l'Adorazione dei Magi ed il Melchisedech.
Le altre opere pittoriche sono di Giovanni Francesco Pellizzotti, di Antonio
Ferigo e d'ignoto, che pure mostrandosi apprezzabili, denotano mancanza di
scuola e si rivelano in quel post-settecento del Novelli e Fontebasso.
Gli altari scolpiti in marmo bianco e rosato sono barocchi, così può dirsi
dell'organo, posto sopra l'ingresso, costruito dal sacerdote dalmata Pietro
Macchini nel 1730.
All'esterno, sotto il pronao del Bassi, un portone raffigurante i sacramenti,
intagliato, su disegno di Raimondo Valesio
Calice, dalla locale scuola d'intaglio diretta dal maestro Giacomo Bellina. Una
lapide ricorda poi Nicolo Selenati, che dal 1806 fu per 50 anni parroco emerito
di Paularo.
Adiacente l'edificio, il cimitero,
che dona all'ambiente un senso di mesto raccoglimento e di pace.
La
chiesa della Madonna di Lourdes
Vista dall'Esterno Interno
della Chiesa
Quasi
a sacro rispetto della vetustà della chiesa parrocchiale, al centro di Paularo,
tra edifici che spiccano dal verde e sui quali domina un conico campanile, in
quadro di pacata serenità montana, la chiesa della Madonna di Lourdes.
Nell'anno 1935, essendo parroco di Paularo don Primo Zuliani ed imperversando
una crisi morale e materiale che non permetteva momentaneamente l'erezione
dell'asilo infantile, fu posta la prima pietra per l'erezione d'una chiesa che
facesse da succursale alla scomoda parrocchiale.
In un entusiasmo generale che coinvolse la
popolazione a prestare il suo contributo lavorativo, l'edifìcio eretto sotto
la
dirczione di GioBatta Segalla fu Segalla, potè essere consacrato già l'il
febbraio del 1936.
Era questa una cappella ad unica navata, con altare in marmo bianco di Carrara,
sormontato da una grotta in gesso, opera del Segalla, con ivi collocate nella
caratteristica lourdeniana le statue della Madonna Immacolata e di S.
Bernardetta; ai lati dell'altare altre due statue raffigurante il Sacro Cuore e
S. Antonio da Padova, opere lignee di scuola altoatesina di Demez.
Nel 1946 la chiesa fa ampliata su disegno dell'architetto Leone Morandini di
Cividale, che aggiunse il coro con colonne e soffitto a cassettoni, dipinti poi
da Giacomo Bellina su disegno di Raimondo Valesio Calice. Nel 1960 fu portato a
termine il campanile e nel 1961 a completare l'opera si costruì l'atrio e vi
si pose il portone intagliato da Luigi Tarussio «Giuti'».
La chiesa, annessa ad un unico corpo con l'asilo infantile, funge attualmente
d'esercizio per tutte le cerimonie religiose.
La
chiesa di Sant Antonio Abate
Fra le
testimonianze storiche collocate come elementi caratterizzanti di Paularo e
della sua storia, sono rimasti i muri diroccati della chiesa di S. Antonio
Abate. Essa rappresenta un filo tangibile
che ci riallaccia
al
passato, una storia senza la pretesa di
grandi avvenimenti, dove gli eventi sono passati silenziosamente, all'insegna
del nobile o del signore.
Seguendo
un ordine cronologico la chiesa fu fatta erigere dai
baroni Calice all'annesso palazzo, ora Calice-Gerometta-Screm,
e
ampliata dal barone Tomaso Calice nell'anno 1674.
Priva di
stili particolari era ricavata da un'aula maggiore
rettangolare,
ad uso di mistico raccoglimento familiare. All'esterno un giardinetto creava un
quadro atto a rasserenare lo spirito delle
anime in cerca di pace.
Verso l'anno 1935 la chiesa fu sconsacrata e adibita a legnaia,
successivamente
il bell'altare ligneo asportato ad abbellire qualche collezione d'arte fuori
Paularo, il giardinetto distrutto per fare
posto ad una strada. Stando
al Marchetti c'è da suffragare l'ipotesi che l'altare
potesse
essere una delle poche opere del Martini in Carnia, e ciò possibile
con i baroni Calice. Attualmente quello ch'era un angolo posto alla ricerca
d'intima pace spirituale per i nobili di palazzo Calice-Gerometta è un rudere
sommerso dal frastuono di un avanzante progresso meccanico e retaggio di un
tempo che fu.
Sacello
di S. Maria di Loreto
Si
erge in forma ottagonale tra le abitazioni rurali degli
anni
1700-1800 poste nella parte più alta della frazione di Villamezzo. Fu fatto
costruire da Giacomo Del Negro nell'anno 1745,
forse a
luogo di mistico raccoglimento familiare, ed è uno dei
monumenti
più belli e caratteristici alla fede in Carnia. Pure
mancando
di ricercatezze stilistiche, la sua architettura perfettamente s'intona alle
case circostanti che lo distinguono e gli
danno
dignità e potenza. Un piccolo campanile a vela, in pietra avorata,
abbellisce il complesso.
All'interno,
la presenza di quello che doveva essere un altare con incavo quadrato per la
pietra sacra, indica che nella chiesa si celebravano i sacri uffici. Una
nicchia, poi, con macchie di colore mostra un dipinto scomparso e forse
raffigurante la dedizione del sacello.
Per molti anni questa graziosa chiesuola fu adibita a legnaia, pure conservando
l'uso del suono della campana, per il passaggio di processioni, funerali o in
prossimità di temporali. Prossima al crollo, per volontà di alcuni giovani fu
intonacata, ciò salvò l'edificio ma vi tolse quella vetustà che donano le
pietre poste alle intemperie.
Chiesa
di S. Fabiano e S. Sebastiano in Villafuori
Fu
fatta erigere a Villafuori nel 1688 da Giacomo Calice nei
pressi
del suo palazzo per i suoi familiari e la sua servitù. Più
tardi fu
posta ad oratorio pubblico con celebrazione dei sacri uffizi,
festa solenne il 20 gennaio in ricorrenza della festa dei Ss. Fabiano e
Sebastiano, e per una settimana all'anno a metà settembre, allorché, ivi viene
portata dalla chiesa parrocchiale la statua della Madonna Addolorata. La
chiesetta esteriormente si presenta graziosa nel suo campanile a vela
sormontante l'ingresso e richiama il
passante a raccolta preghiera. L'intimità interna è rotta dal bell'altare
barocco in marmo rosato sul quale fanno bella
figura tré statue
di bianca pietra, raffiguranti la Vergine Immacolata al centro, con ai lati, i
Ss. Fabiano e Sebastinao. L'altare indica un certo benessere del proprietario.
Negli anni cinquanta alla chiesa furono tolti i quadri per fare posto ai
dipinti eseguiti dal proprietario Raimondo Valesio Calice.
Annessa alla chiesa, la sacrestia, dove trovano posto alcuni mobili antichi e
paramenti sacri di certo valore.
Con il terremoto del 1976 la chiesa ebbe a subire dei danni ed i proprietari
l'hanno passata alla potestà parrocchiale della chiesa di S. Vito. C'è
d'augurarsi che i curati di Paularo e la curia di Udine intervengano, onde dei
Calice non si perda altra preziosa opera di bene ambientale e di culto.
Chiesa
del SS. Redentore a Ravinis
E'
un quadro posto in un angolo remoto a dominio della valle
di Paularo, in praterie dove i pini e i latifogli giocano con
linee
morbide di colori, ove s'adagia linda e pia la chiesa dedicata al Redentore in
Ravinis. Sulla strada che da Paularo s'inerpica al massiccio dello Zermula verso
Pizzul, in un andare di dolci
strappi, Ravinis, elevato e solitario nei suoi borghi dalle
linde
casette sovrasta un caseggiato il cui occhio è attratto da
un
portale atto a proteggere un bei portone intagliato da Luigi
Tarussio
« Giuti », con figurazioni simboliche del cristianesimo.
Chi si
sofferma ed entra è accolto da un semplice salone rettangolare cui fa da sfondo
l'abside che presenta eretti sull'altare la
statua
del Cristo a braccia aperte con ai lati la Madonna di Fatima e S. Giuseppe. Una
scritta posta ad arco, dice: « Venite a
me voi
tutti ed io vi conforterò ».
Era prima della seconda guerra mondiale 1940-1945 che si
parlava
di dare una chiesa al borgo di Ravinis, ma solo dopo
la guerra
essa potè essere eretta dalla ditta GioBatta Segalla
fu
Giobatta, con l'aiuto finanziario della popolazione e consacrata
dall'arcivescovo di Udine monsignor Giuseppe Nogara il
19 luglio
1948.
Sorta su
terreno offerto da una misantropa, che volle anche
la statua
della Madonna del Rosario che si trova nel corpo centrale della chiesa, serve
per le funzioni religiose agli abitanti di
Ravinis,
e da qualche tempo elevata al rango di parrocchia.
Questa chiesa però è destinata ad una festa tutta sua particolare che si
celebra l'il ottobre di ogni anno, anniversario del rastrellamento.
In quel giorno convengono a Ravinis numerosi
pellegrini,
reduci dei lagers nazisti, gente fuggita dalle tradotte
di
deportazione o da posti di blocco tedeschi, persone liberate
per
intervento fortunoso di qualche autorità, o che di quell'infausto giorno della
storia di Paularo hanno labile ricordo d'infanzia.
Ravinis, unico borgo esente dal rastrellamento nazista, ha fatto dell'11 ottobre
il giorno di sagra del paese e come tale, la chiesa è centro e luogo di raduno.
Chiesa
del SS. Redentore sul Monte Pizzul
Dare
onorata sepoltura ai caduti in guerra è tradizione remota di tutti i popoli
d'elevata civiltà, anche se taluno rimane stupito,
ma che non meraviglia studiosi di storia e civiltà che
affermano:
« II popolo italiano onora la memoria dei morti in
guerra
come nessun'altro popolo al mondo ». E' cosa ardua quindi sintetizzare in poche
parole il complesso quadro legato da vicende
a tinta rosa della chiesetta alpina del monte Pizzul.
A fine
guerra 1915-1918, alcuni giovani di Misincinis portati
alla
ricerca di viveri e vestiari lasciati dai tedeschi in ritirata,
rinvennero
una statua raffigurante il SS. Redentore. Era essa
stata
acquistata dagli alpini che si trovavano a combattere sul
monte
Zermula, per essere collocata in una cappella che doveva sorgere
nel cimitero militare di « Questa di Crignis ». Dopo un periodo di alterne
vicende che videro la statua pellegrinare da un luogo all'altro, per volere dei
combattenti di Paularo, fu eretta negl'anni 1935-36 una cappella sul monte
Pizzul ed ivi definitivamente collocata.
Chi sale sul monte Pizzul sperando in un ossario imponente o in un edificio
architettonico rimane deluso. Ma se la prima impressione non soddisfa, basta
soffermarsi un'istante, rivivere lo spirito degli alpini, guardare intorno, ed
allora si capisce che monumento più sacro ed imponente non poteva ergersi. Qui
non sono i muri d'un edificio che fanno da monumento ma le rocce strappate e
difese al nemico col sangue eroico dei soldati caduti, in un'arco che va dalle
Alpi Cadorine alle Giulie; per tappeto il verde cupo dei boschi; per profumo, i
fiori alpestri più rari; mentre il piccolo edificio fa solo da simbolo e
custodia per la statua del SS. Redentore e da altare.
Lassù ogni anno, il mese d'agosto, si reca in pellegrinaggio la popolazione di
Paularo, memore a chi su quei monti eroicamente cadde a difesa della Patria.
La
chiesa di Santa Maria a Dierico
Al
turista che s'inoltra lungo la valle del Chiarsò improvvisa appare, dopo lo
spettacolo delle giogaie dolomitiche del monte
Sernio, o la chioma argentea formata dalla cascata di
Salino,
uno dei paesaggi più pittoreschi della Carnia: Dierico,
con in
primo piano la sua chiesa, gioiello d'arte che la storia
dei tempi
ha conservato e tramandato.
Una
pietra monolitica sotto l'altare ligneo prima e una pergamena del patriarca
Ludovico Della Torre datata 1300 poi, dicono che già a
quel
tempo esisteva la chiesa di S. Maria in Dierico. Un'altra pergamena del 1500
parla della consacrazione dell'altare: complesso architettonico ricco d'intrecci
quattrocenteschi con
foglie, fiori e ornati decorativi, basati su un gioco di nicchie
allineate
in tré piani distinti, con quattordici statue, opera mirabile di Antonio Tirone
da Bergamo, che altri invece (Gortani-Joppi) attribuivano a Giovanni da Tolmezzo
(Marchetti), a Giovanni Martini da Udine, ecc. A dissipare ogni logica
attribuzione in
merito, considerato che il Tirone da Bergamo ebbe a lavorare nella
bottega di Giovanni Martini, fu il ritrovamento nel 1978 da parte di Nazario
Screm di un documento importante conservato nella raccolta « Contributi
dell'Arte », presso la pieve d'Illegio, ed in cui vi si legge: « 1522 li 15
Agosto Antonio Tirone da Bergamo, Stanziato a Udine dal 1500, si obbliga col
Comune di Dierico d'erigere un altare, col tabernacolo a piedi, e
sopravia la Madonna, e nove statue... ». Con il rinvenimento di tale documento
crediamo si sia finalmente trovato il vero autore dell'opera. Per quanto
riguardano gli affreschi del coro, in una pergamena conservata nella chiesa di
S. Vito a Paularo, si legge siano di Giulio Urbano da Tarcento, chi spera però
di trovarvi in essi le orme di un grande pittore, che si definiva allievo del
Pordenone, rimane deluso, perché sembra l'artista non abbia voluto andare oltre
alla pura illustrazione, lasciando alle figure una forma statica da sembrare del
trecento; ad ogni modo, all'opera non si può negare un valore storico, in
quanto è l'affresco più antico che si trova in zona.
Il vecchio edificio negl'anni 1883-1884 ebbe a subire dei restauri dei quali
restò esente il solo coro.
A seguito del sisma tellurico del 1976, il parroco don Paolo Verzegnassi ha
affidato i lavori di riparazione e restauro all'ingegnere Facchin di Tolmezzo
che sembra intenzionato a riportare la chiesa allo stato primitivo, togliendo
quello che inesperte riparazioni hanno danneggiato, rinvenendo affreschi
ricoperti da mani di calce e dando ai muri periferici lo splendore indicato
dalla torre campanaria.
Chiesa
di S. Caterina a Salino
Vista
da Lambrugno
SACELLO di Santa Lucia
Sulla
strada per Paularo, poco oltre la cascata di Salino in un susseguirsi di ancone
indicanti fede genuina e semplice, la chiesa di S. Caterina a Salino. Il quadro
presentato dall'edificio è dei più pittoreschi. La chiesa quasi isolata
dall'abitato è posta a cavaliere della valle tracciata dal corso del Chiarsò e
che va ad ampio orizzonte dallo Zermula al lontano Arvenis. Scenario imponente
della natura per un umile tempio a Dio.
Una data indica la chiesa come costruita nell'anno 1894, di certo però, essa
è sorta su altro edificio precedente, come dimostrato dalla forma e stile del
campanile, da altre reminiscenze architettoniche e da un documento storico che
indica un curato per la chiesa di S. Caterina in Salino nel 1672. Il carattere
stilistico dell'edificio è un neoclassico tardo settecentesco, privo di
misurata eleganza ed all'interno un netto contrasto con la bella panoramicità
esterna.
Tre altari dedicati al SS. Sacramento e S. Caterina, S. Biagio, S. Lucia, pure
privi di certo valore artistico, dicono di una gente portata a religiosità
profonda e che la chiesa non è solo luogo di culto ma anche di intimo ritrovo
spirituale per certi momenti e circostanze.
Chiesa
della Madonna SS. Ausiliatrice del Monte Castoia
Fusa
con l'ambiente silvano che la circonda, sul monte Castoia, sopra Salino, esiste
dall'anno 1870 una cappella dedicata alla Madonna SS. Ausiliatrice. Fonti
popolari vogliono che un uomo di Salino, raccogliendo pietre nel rio Malmedili,
sulle falde del monte Tersadia, ne rinvenisse una triangolare su cui era incisa
l'immagine della vergine con il bambino in braccio. L'immagine fu deposta in una
vicina icona, ma ben tre volte si dice - tornò nel luogo del ritrovamento. Nel
1870, poi, in seguito ad una guarigione, che si ritiene miracolosa, la
popolazione di Salino, con fatiche non indifferenti, trasportò sul monte il
materiale per costruirvi una cappella, che fu poi dedicata a Maria SS.
Ausiliatrice.
Dal 1911 al 1930, per un susseguirsi di guarigioni, che si attribuirono alla
Madonna, il tempietto fu ampliato più volte, le pareti affrescate dal pittore
Monai di Nimis e ricoperte da numerosi ex voto.
E' consuetudine che il giorno di S. Maria
Ausiliatrice numerosi pellegrini si rechino sul monte Castoia per venerare
l'effige della « Madonna del Sasso »; si tratta di una tradizione che vede
annualmente in questa giornata o nei sabati che vanno dal 24 maggio al 1°
ottobre, giungervi fedeli di tutti i paesi della Carnia.
Chiesa
di S. Giovanni Battista a Trelli
Vista dall'Esterno Interno
della Chiesa
Un
angolo, una pausa di fresco, un pò di trascuratezza se
si vuole
per chi s'addentra con premura attratto dagli orizzonti
più
appariscenti del dolomitico Sernio che di fronte sta.
Poche
linee essenziali di un Rinascimento rudimentale poste
a
scenografia quasi staccata di un borgo appeso alle falde del
monte
Tersadia.
I
documenti non soccorrono molto su questa chiesa di Trelli, ne quando essa fu
costruita o consacrata. Alcuni cenni stilistici fanno pensare intorno al sec. XV;
mentre risulta di certo fu ampliata e restaurata nel 1600 per interessamento
della famiglia Morocutti.
Con caratteristiche proprie, l'interno della chiesa si presenta con due altari,
l'uno dedicato a S. Giovanni Battista con tabernacolo per l'eucaristia; l'altro,
dedicato alla Beata Vergine del Carmine. Una tela attribuita al Grassi, ma che
invece è del Pellizzotti, dona un pò di splendore.
Estraniata quasi dalla valle, sembra posta a guardia del borgo di Trelli le cui
case si alzano minuscole e quasi strappate a piccole praterie, palpito di un
sentimento sincero per il Dio degl'umili.
Chiesa
di S. Pietro a Chiaulis
Vista dall'Esterno Interno
della Chiesa
Per
chi s'addentra nei viottoli di Chiaulis, tra angoli di rustiche facciate che
mostrano il movimento di un'architettura agreste
d'inusitate prospettive riposanti e gaie, trionfo della pietra e del legno in
grazia contadina senza pretese, trova in fondo a questo rustico borgo, quasi
chiave d'accesso e di chiusura al paese, la chiesa di S. Pietro. Semplice come
il circondario, sulla porta principale mostra Una data, forse l'anno di
ricostruzione: 1877. L'interno senza pretese, presenta gl'altari dei Ss. Pietro
e Paolo e di S. Francesco. Dagli
ovali della navata, dominano i quattro evangelisti, opera d'affresco del pittore
Antonio Ferigo « Belo » da Paularo.
Un campanile ristrutturato nel 1882, spande i rintocchi della sua campana per
le vie del borgo, fino a che si perdono tra i boschi e le non lontane pendici
della creta « Serenata ».